ATTACCO ALLO SMART WORKING LA GUERRA SENZA TEMPO DI BRUNETTA

Nazionale -

(109/21) La pandemia è finita, sta finendo, a dircelo è stato qualche giorno fa il ministro per la pubblica amministrazione, Renato Brunetta, intervistato nella cornice del Forum Ambrosetti, l’annuale raduno di fine estate degli industriali a Cernobbio, sul lago di Como. Su quali basi scientifiche e sanitarie Brunetta possa poggiare la sua perentoria affermazione non è dato di sapere, soprattutto se rapportata all’emergenza sanitaria in vigore almeno fino al 31 dicembre 2021, ai casi di positività, ai ricoveri in terapia intensiva e ai morti che si continuano a registrare giornalmente a causa del SARS-CoV-2.

Il ministro per la pubblica amministrazione ha affermato che dal prossimo mese di ottobre tutti i lavoratori pubblici dovranno tornare a lavorare in presenza, per accompagnare la crescita economica del paese che viaggia a livelli di boom economico. Successivamente, è stato specificato che il ritorno in presenza serve a rilanciare i consumi nella ristorazione, nell’abbigliamento e nei trasporti. Al solito, quel che guida le scelte del padronato e di chi governa il paese è l’interesse economico, mentre la salute e la sicurezza dei lavoratori passano in secondo piano o non sono affatto considerate.

Brunetta ha provato a demolire il lavoro da remoto fatto negli ultimi diciannove mesi parlando in modo dispregiativo di “lavoro a domicilio all’italiana”, senza regole e senza controlli, iscrivendosi di diritto a quella schiera di commentatori dei salotti televisivi per i quali i lavoratori pubblici lasciati a casa per contenere la diffusione del Covid sono stati di fatto seduti sul divano a non fare niente. E a chi gli ha fatto notare che l’INPS con il 97% di personale in smart working ha registrato un aumento di produttività del 13% ha risposto che l’Istituto guidato da Tridico ha accumulato notevoli ritardi nella liquidazione della cassa integrazione, rilanciando la vulgata raccontata per mesi da una parte dell’imprenditoria italiana, non di rado per nascondere proprie responsabilità o per fini politici, incurante dell’eccezionale carico di lavoro piovuto sull’INPS. In questo lungo periodo di emergenza sanitaria si è fatto di necessità virtù, si è sperimentata in modo massivo una modalità di lavoro a distanza che ha dato risultati importanti e indicato una strada per il futuro, che ora il ministro vorrebbe cancellare con un tratto di penna, avendo in testa una visione della pubblica amministrazione classista, clientelare e divisiva, ancorata a modelli di burocrazia fortemente gerarchizzata (per questo è necessario il lavoro in presenza), in cui il giudizio discrezionale sui singoli dipendenti (pagelline, valutazione, premi) condiziona i percorsi di carriera, il diritto alla formazione, il mantenimento del posto di lavoro. Lo abbiamo ripetuto spesso: la pubblica amministrazione che ha in testa Brunetta è vecchia e superata.

Non siamo dei fans accaniti dello smart working o del telework, come ci correggerebbe lo spocchioso ministro, perché in un mondo del lavoro come quello italiano i pericoli di una deriva che porti al lavoro a cottimo ci sono tutti, ma è innegabile che dopo questa fase di forzata sperimentazione sia insensato pensare di tornare indietro e non valorizzare l’esperienza fatta, traducendola in norme contrattuali chiare che assicurino un pari trattamento a tutti evitando abusi e interpretazioni. In questi giorni sono intervenuti nel dibattito sullo smart working esperti come Mariano Corso, responsabile scientifico dell’osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, che in un’intervista a “il Fatto Quotidiano” dell’11 settembre si spinge ad affermare che tornare indietro rispetto all’utilizzo di rilevanti percentuali di lavoro agile è semplicemente avvilente, tanto più che la scelta sembra sostanzialmente legata al teorema populistico dei furbetti del cartellino. Infine, l’idea trasmessa da Brunetta di un pubblico impiego in buona parte ancora a tempo pieno a casa, impegnato nel lavoro da remoto, non è vera e non parliamo ovviamente del personale sanitario o di quello scolastico. Da oltre un anno all’INPS è stato ripristinato lo sportello in presenza, anche se su appuntamento per evitare affollamenti, mentre l’attività d’informazione nei periodi di lockdown è stata fornita attraverso strumenti alternativi come i contatti telefonici e le mail. Le attività indifferibili in presenza sono state sempre assicurate e da settembre 2020 il personale dell’Istituto alterna giornate di presenza a giornate di lavoro da remoto, evitando affollamenti nelle sedi per rispondere alle indicazioni contenute nei decreti governativi. In ogni caso il lavoro nella pubblica amministrazione non è stato interrotto neanche nel pieno della pandemia, proprio grazie allo smart working.

Se il ministro vorrà forzare la mano disponendo il rientro in presenza di tutti siamo pronti a dare battaglia sul piano della sicurezza, diffidando i datori di lavoro al rispetto del protocollo sanitario INPS del 3 giugno 2020, che qualcuno continua a contrastare per darsi improbabile lustro.