CHE NOIA IL POSTO FISSO

Riceviamo e volentieri pubblichiamo...

Cagliari -

 

ASSUMIAMO IN PREMESSA,

all’inizio del ragionamento, di non prendere in considerazione comportamenti illeciti del datore di lavoro o del lavoratore.  

Il lavoratore è tutelato dalla legge a difesa di comportamenti illeciti dell’imprenditore come, allo stesso modo, il lavoratore è sanzionato dalla legge se si comporta illecitamente.

 

PERTANTO 

Chi asserisce che la riforma del mercato del lavoro implicherà una riduzione della disoccupazione, sta lanciando messaggi “privi di significato”.  

Legislazioni del lavoro più o meno garantiste nei confronti dei lavoratori, o più o meno liberiste nei confronti delle imprese, non alzeranno né abbasseranno il tasso di disoccupazione in quanto incidono solo sulla rigidità o sulla volatilità dei singoli contratti di lavoro.  

Il tasso di occupazione dipende esclusivamente dal volume degli investimenti produttivi e dalla competitività delle imprese, cioè a dire dal capitale investito e dalla vendita sul mercato dei beni e servizi.  

Il volume degli investimenti produttivi dipende dalla propensione al rischio dei privati (portatori di capitale) e delle banche (prestatori di capitale). La vendita sul mercato dei beni e servizi dipende dalla capacità dell’impresa di innovare i prodotti ed i processi aziendali.  

A livello aggregato, maggiori saranno gli investimenti e la vendita di beni e servizi prodotti in una nazione e maggiore sarà il Prodotto Interno Lordo di quella nazione.  

In una nazione in cui il PIL è alto ed in crescita, le leggi che regolano il mercato del lavoro possono essere flessibili e tutelare al minimo il singolo lavoratore in quanto il medesimo non avrà difficoltà eccessive a rientrare nel mercato del lavoro, infatti ci saranno altre imprese disposte ad acquisire la sua prestazione d’opera (Caro Monti, in questa situazione qualsiasi lavoratore direbbe “Che noia il posto fisso”).  

In una nazione in cui il PIL diminuisce, le leggi che regolano il mercato del lavoro devono essere meno flessibili e tutelare al massimo il singolo lavoratore in quanto l’espulsione dal mercato del lavoro potrebbe essere “per sempre”. 

FINE DELL’ASSUNZIONE DI CUI IN PREMESSA

 

 

Il dibattito sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori torna molto utile qualora si vogliano inserire variabili ideologiche e lesive del principio di “uguaglianza sostanziale”. Il rapporto di lavoro infatti non è un semplice contratto di diritto civile in cui le due parti (datore e lavoratore) stanno alla pari. Infatti mentre per il datore la sostituzione di un lavoratore con un altro non implica importanti ripercussioni sull’organizzazione del lavoro (stante la presenza di molti disoccupati sul mercato del lavoro), per il lavoratore il licenziamento avrà senz’altro ripercussioni negative di lungo periodo sul suo reddito e sulla sua famiglia in periodi di rigidità del mercato del lavoro.  

Facendo il riassunto della attuale legislazione il datore di lavoro ha già ampia facoltà di licenziare il lavoratore ricorrendo il giustificato motivo oggettivo che postula motivazioni, anche “di ampia formula”, inerenti alla attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di esse – Art. 3 Legge 604/1966.  

E’ palese che esiste già una discrezionalità di ampio raggio che consente al datore di lavoro di licenziare con l’unico limite del rispetto della clausola di correttezza (art. 1175 codice civile).  

L’esistenza del giustificato motivo e del principio di correttezza garantiscono il comportamento lecito in caso di licenziamento.  

Se il licenziamento è illecito allora scatta la tutela obbligatoria per le imprese sotto i 16 dipendenti con il solo obbligo per il datore di lavoro di risarcire il lavoratore senza onere di reintegro in azienda (si vuole evitare che nelle piccole aziende il lavoratore reintegrato e il datore di lavoro siano sempre a contatto con evidente rischio di ulteriore conflitto).  

Qualora l’azienda superi i 15 dipendenti scatta la tutela reale con obbligo del datore di lavoro di risarcire il lavoratore ma soprattutto di reintegrarlo nell’azienda.  

E’ di tutta evidenza che chi vuole l’abolizione dell’articolo 18 sa che il datore di lavoro potrà liberarsi di qualsiasi lavoratore “con il solo cenno del capo”, con il solo obbligo del risarcimento e con esclusivo danno del lavoratore. 

 

IN DEFINITIVA  

Se escludiamo comportamenti illeciti del datore di lavoro e del lavoratore, entrambi sanzionati dalla legge, può asserirsi che il dibattito intorno all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è privo di significato ed è inutile ai fini dell’incremento dell’occupazione nazionale.  

Stando così le cose, …