I LUOGHI COMUNI SUGLI IMPIEGATI INPS FINISCONO IN UN LIBRO

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(66/22) Ci siamo imbattuti per caso in un articolo che pubblicizzava la presentazione dell’ultimo libro di Francesco Recami, intitolato “I killer non vanno in pensione”. Il protagonista è un oscuro funzionario dell’INPS, Walter Galati. L’autore lo presenta come l’ultimo della catena, un mezzo fallito, che viene sbeffeggiato e insultato dai colleghi, dalla moglie e dal cagnetto. Tuttavia, Walter Galati ha un segreto: fuori del lavoro ufficiale è un killer a pagamento.

Riportiamo di seguito un passaggio del libro pubblicato dal Corriere Fiorentino alcuni giorni fa.

Anche quel giorno non aveva smesso un momento di piovere, sembrava impossibile. Le vetrate della Direzione Provinciale dell’Inps di Treviso, che dista pochi metri dal fiume Sile, in piena, erano solcate da rivoli d’acqua, che scendevano giù e si fondevano l’uno con l’altro.

         “Galati, lo vuoi vedere il mio nuovo tatuaggio?”.

         Oddio, pensò il ragioniere Walter Galati, chissà dove se lo è fatto. Tutti gli anni la Lorenzin si regalava un nuovo tatuaggio, poco prima dell’inizio della stagione balneare, che per lei cominciava prestissimo, ai primi di maggio, infatti molto prima di allora era già abbronzatissima, soprattutto sul décolleté. E così accadeva anche quest’anno, nonostante il maltempo non avesse concesso tregua, sembrava di essere alla fine di novembre. La Lorenzin aveva quarantacinque anni circa, ed era sempre parecchio ingioiellata, impiegata di livello C2. Galati invece era di livello B, nonostante lavorasse all’Inps da quasi dieci anni, e stava faticando al computer, tutto accaldato.

         “Allora, Galati, non lo vuoi vedere il mio tatuaggio?”.

         “Sì che lo voglio vedere, però non mi mettere in imbarazzo, eh?”.

         “Macché imbarazzo, guarda, è qui” e si tirò su la camicetta per mostrare i lombi, in prossimità del fondoschiena. La pictografia raffigurava un cuore carnoso trafitto da un fulmine”.

         “Ti piace?”.

         “Moltissimo, ma copriti per favore, e poi vedi che ho da fare, ho i minuti contati, il direttore…”.

“Ma tu ce l’hai un tatuaggio?”.

“Per l’amor del cielo, no che non ce l’ho”.

         “E tua moglie?”.

         “Che io sappia no”.

         “Oddio Galati! Ma sei incredibile! Che io sappia no! Perché, tua moglie non l’hai mai vista nuda? Oddio, mi fai sbellicare…”.

         La Lorenzin si ricompose, si tolse le scarpe e i fantasmini e si dette una controllata allo smalto delle unghie dei piedi.

         “Uh… con queste platiche semipermanenti l’unghia dura pochissimo, si vede subito lo stacco”.

“Eh?”.

“Lasciamo perdere Galati, almeno fossi gay si potrebbero fare un po’ di pettegolezzi, comunque c’è un piacere che devo chiederti”.

“Anche tu?”.

“Galati, me lo timbri il cartellino alle 17? Io esco adesso. Poi me lo lasci al solito posto, sai, andiamo a Jesolo”.

“Ma certo, non ti preoccupare. Ma che ci andate a fare al mare, piove che Dio la manda. E c’è il pericolo esondazioni”.

“Ma quale pericolo esondazioni… non dare retta alla televisione. Lanciano sempre allarmi, e poi al mare si possono fare tante altre cose, per esempio in albergo”.

“E che bisogna andare fino a Jesolo per quello?”.

“Ah, Galati, è inutile stare a parlare con te, piuttosto cerca di stare attento eh? Non ti fare vedere, lo sai che c’è la telecamera”.

“Non c’è problema… fosse la prima volta”.

La signorina Lorenzin si controllava le patate sui piedi.

“Non trovi che io abbia i piedi un po’ tozzi?”

Galati vedeva bene che la Lorenzin li aveva, e anche sformati, ma lui doveva chiuderla lì, sennò non avrebbe mai finito in tempo”.

“Macché tozzi, hai dei bellissimi piedi. Guarda, ora ti devo lasciare che ho un sacco di problemi per conto mio, sono indietro, ed entro le 17 devo aver finito questo verbale della riunione di stamattina, me lo ha chiesto il direttore in persona. Ci devo mettere anche le sue osservazioni”.

“Ma chi lo firma?”.

“Lui, chi vuoi che lo firmi”.

“Io non lo farei, al posto tuo, sono solo rogne, non sei mica tu il responsabile della informatizzazione”.

“Lo so, ma come facevo a dirgli di no? Lui mi ha parlato chiaramente, se non rigo dritto mi rimette a fare le cedole”.

“Tu ti fai mettere la testa sotto i piedi. Fai come me”.

La signorina Lorenzin si rinfilò le scarpe. In ufficio non faceva quasi niente, come del resto la maggior parte dei suoi colleghi, ma non era un’impresa semplice, richiedeva intensa programmazione, studio, accordi e lavoro.

“Galati, ricordati, fare troppo in poco tempo significa lavorare male. E poi ci sballi le statistiche. Se tu svolgi dieci pratiche in un giorno, perché gli altri dovrebbero produrre altrettanto?”.

“Ma che ci posso fare io? E poi mi obbligano”.

“Ma non è vero, sei tu che non sai dire di no, rispondi sempre di sì, ed è chiaro che ti mettono in mezzo. Fatti un po’ furbo. Io per esempio lunedì ho un permesso sindacale. Martedì sono malata per due giorni, non c’è la visita fiscale, e giovedì lavoro. Ma venerdì… Galati, io non ti capisco”.

Uno scritto pieno di luoghi comuni, di sessismo, di offese ai lavoratori pubblici, descritti per lo più come fannulloni, mentre Galati è la macchietta di Fantozzi. Recami si iscrive di diritto alla schiera dei seguaci di Brunetta. Respingiamo con forza questa immondizia e rivendichiamo il rispetto per la nostra dignità e per l’istituzione pubblica per la quale ci impegniamo quotidianamente. Magari la comunicazione esterna qualcosa potrebbe fare.