LA P.A. DI BRUNETTA È VECCHIA E DIVISIVA

Nazionale -

(106/21)  Il Ministro per la Pubblica Amministrazione ha una visione della macchina statale superata, ancorata a vecchi modelli che poggiano su tre principi cardine: il lavoro in presenza, la gerarchizzazione dell’organizzazione del lavoro e la premialità.

Per Brunetta se non si lavora in presenza non si produce, per questo gli risulta indigesto il lavoro agile, come altre forme di lavoro a distanza, e freme per riportare al più presto tutti i lavoratori della Pubblica Amministrazione in presenza, incurante dell’andamento epidemiologico. Per il Ministro, che passa per essere un innovatore mentre è l’emblema della più vecchia burocrazia statale, l’importante è che il lavoratore sia costretto tra le mura degli uffici, controllato da una dirigenza chiamata a fare da cane da guardia insieme ai funzionari a cui sono affidati incarichi direttivi. Al di là dell’ideologia che guida una tale posizione che rifiuta modalità lavorative innovative, risulta evidente che il Ministro basi il suo giudizio su un’osservazione limitata ai settori della P.A. tecnologicamente arretrati.

Brunetta ha annunciato una “rivoluzione gentile” che dovrebbe portare ad un notevole salto di qualità della Pubblica Amministrazione, ma se uno dei punti principali di questa rivoluzione sono le assunzioni a tempo determinato legate al P.N.R.R. di personale selezionato attraverso l’invio dei curricula, quindi in modo dichiaratamente discrezionale, siamo da una parte alla riproposizione del bieco sfruttamento dei lavoratori, tenuti sulla corda in attesa di una futura incerta stabilizzazione, dall’altra si ripropone il meccanismo della peggiore tradizione clientelare che è stato uno dei principali ostacoli all’innovazione della macchina statale. L’introduzione di una specifica area riservata alle “elevate qualificazioni” nell’immaginario del Ministro dovrebbe servire a costituire una “guardia pretoriana”, un’élite di personale fidato a cui affidare le leve gestionali che il suo disegno restauratore prevede. Invece di andare verso un modello organizzativo orizzontale, con diffusi livelli di responsabilità e professionalità, con obiettivi produttivi collettivi che valorizzino la collaborazione e inseriscano l’apporto individuale in un contesto complessivo che guardi al miglioramento dei servizi offerti al cittadino, Brunetta propone una Pubblica Amministrazione elitaria, divisiva, gerarchizzata.

Infine, il concetto di premialità, legato alla valutazione espressa attraverso schede individuali che spesso contengono criteri non oggettivi, rischia di produrre un effetto contrario a quello che si prefigge. Laddove le schede sono in uso è aumentato il contenzioso tra lavoratori e amministrazione, si registrano ampie sacche di scontentezza e la competizione tra lavoratori non aiuta a costruire un positivo clima aziendale. Dodici anni fa Brunetta impose regole ferree per la distribuzione degli incentivi e per i percorsi di carriera, arrivando ad ipotizzare la possibilità di licenziamento dei lavoratori che avessero ricevuto giudizi negativi per un triennio. Dodici anni fa Brunetta impose alle amministrazioni pubbliche di dotarsi di apparecchi “emoticon” per registrare il gradimento dell’utenza, apparecchi rimasti per lo più inutilizzati con elevati costi per la collettività. Oggi Brunetta riparte da lì per imporci “una rivoluzione gentile” che sa tanto di minestra riscaldata. Non è questa la Pubblica Amministrazione che vogliamo e che serve ai cittadini. Siamo pronti alle sfide per l’innovazione della macchina statale, ma che sia vera innovazione e non un trasformismo che nasconde i soliti, vecchi ingranaggi della politica clientelare e della peggiore burocrazia.